Come avrebbero mai potuto ammettere l’altezza della cifra poetica di Goliarda Sapienza, gli intellettuali italiani degli anni Cinquanta? Come sarebbe mai stato accettabile che una donna della borghesia colta parlasse così autonomamente d’essere amante strutturata sulla devozione al piacere (e piacersi), d’essere cleptomane dello stesso sperma profuso senza volontà di paternità, d’essere misura di quella vita che un uomo amante nemico ha paura di donare nello sperpero misero delle sue mille vane sessualità sessualizzate dalla ferocia delle forme del corpo che suggeriscono certe altre mille ferocie etiche? E, infine, come sarebbe stato ammissibile che una donna perpetri uno slancio carnale così dissennato conservando la gioia dell’occhio, un occhio che dà la vita? Da Ancestrale, edizioni La vita felice.

