Dario Bellezza, nella sua Roma degli anni Sessanta, in un viscerale e asfittico relazionarsi alla società che non corrisponde i suoi intenti di protesta, ritrova nel gatto la fulgida armonia-seppur sempre nostalgica e sofferta- tra il suo io esperenziale, prima che lirico, e la parola poetica che si fa rappresentazione scabra di un erotismo che conduce al tormento invece che al piacere. Se c’è un Paradiso, avrà gli occhi amari e buoni di una gattina del Verano.
