“Ormai multiforme, la poesia continua a presentarsi come via d’accesso al reale, esperienza del pensiero, «conservatorio della figurazione e dell’euritmia» ([…] Deguy); oppure come atto di resistenza, logica defigurativa e pratica della dĂ©pens; oppure ancora come strutturazione e attivazione di particolari vari dispositivi di recezione, meta-rappresentazione e critica. Se la specificitĂ della poesia non è, o non è piĂą, così evidente, non è solo perchĂ© non sia, o non sia piĂą, identificabile, ma perchĂ© esiste una pluralitĂ di progetti inconciliabili tra loro, addirittura perchĂ© all’interno di ogni famiglia di pratiche formali esiste una molteplicitĂ d’intenti che corrispondono ad altrettante maniere di vivere i procedimenti e le tecniche posti in essere (1)”: così recita un efficace passaggio di uno dei saggi di Gleize, da poco antologizzati, sulla Postpoesia che tanto attanaglia le coscienze (e le incoscienze) dei critici maggiormente assetati di scansioni ermeneutico-definitorie.”